We’re alright now
Bite marks
It all comes back someday
Wood Chipper
My business
I just don’t know what to say
I know how to lose you
You’re all the reason I need
One of them damn days
No wicked grin
Give it up
Blues can’t even find me
Con consumato mestiere, negli ultimi tempi addirittura con
cadenza annuale, John Hiatt continua
a pubblicare album di buon livello, senza particolari cadute di tono e sempre piacevoli
all’ascolto. Certamente gli ultimi lavori non aggiungono niente di nuovo a
quanto già sappiamo dell’artista, ma che importa? Ciò che conta è constatare
che è ancora in gran forma e, soprattutto, che ha ancora voglia di spendere
energie con l’entusiasmo della prima volta. Del resto non sarebbe nemmeno
lecito aspettarsi di più da un autore di sessant’anni suonati, è proprio il
caso di dirlo, sulle scene dai primi anni ’70 con ben ventitrè dischi
all’attivo. Lui il capolavoro lo ha già scritto nel 1987, quel Bring the family da ricordare come un
momento magico e irripetibile, che nemmeno la reunion dei Little Village
ha saputo replicare, una pietra miliare nella sua carriera, cui, volenti o
nolenti, si è sempre spinti a paragonare ogni lavoro successivo. Le opere
pregevoli non sono mai mancate, si pensi ad esempio a Perfectly good guitar, a Crossing
muddy waters e a Master of disaster,
inciso insieme a quasi tutti i North
Mississippi All Stars di Luther
Dickinson. Insomma si è sempre dimostrato all’altezza della propria fama e anche
nei momenti minori è sempre stato
possibile trovare due o tre pezzi superiori alla media.
Nessun commento:
Posta un commento