mercoledì 23 gennaio 2013

Mojo Filter - Red Banana




Red Banana è il primo singolo estratto da The Roadkill Songs il nuovo disco dei Mojo Filter che uscirà il 14 Febbraio per Club de Musique Records. Il disco è stato registrato con Mauro Galbiati e mixato con il supporto di Antonio Gramentieri (Sacri Cuori, Hugo Race,il Pan del Diavolo). 

La tracklist:

The Girl I Love Has Got Brown Hair
Red Banana
Closer To The Line
Cigarettes
Better Love Your Man
Beautiful June Day
My Girl
The Black Ship
One Mile Away
Nobody’s Out Crying

A The Roadkill Songs hanno collaborato anche Giuseppe Favia, Fidel Fogaroli, Mr. Lobo Jim e Mario Cavallaro. La copertina è stata realizzata da Ferdinando Lozza.

martedì 22 gennaio 2013

Patti Smith interpreta Gaber...


Ieri sera Fabio Fazio ha dedicato una serata speciale di "Che tempo che fa" al ricordo di Giorgio Gaber nel decimo anniversario della sua morte (ricordiamo che è scomparso il 1 gennaio 2003).
Molti artisti hanno partecipato alla serata, ma l'esibizione della Smith ha qualcosa di speciale, è di un'intensità rara... 
La sacerdotessa del rock (il termine è abusato, ma calza sempre a pennello) ha interpretato "Io come persona" scritta dal Signor G nel 1992. Ascoltatela e vi verranno i brividi, chi altri avrebbe potuto interpretare meglio il testo di Gaber, mai così attuale?



In un tempo di rassegnata decadenza
serpeggia la paura nascosta dall'indifferenza.
In un tempo così caotico e corrotto
in cui da un giorno all'altro ci può succedere di tutto.
In un tempo esasperato e incongruente
con tanta, tanta informazione che alla fine
uno non sa niente

Naturalmente è giusto ascoltare anche la versione di Gaber...


Non posso far altro che ringraziare Giorgio Gaber e Patti Smith per averci regalato queste emozioni...


domenica 20 gennaio 2013

Tex Mex - Quando il blues parla triestino...


Girovagando sul web dopo la segnalazione di un amico, mi sono imbattuto in questa band triestina che onestamente non conoscevo. Trieste è la mia città del cuore, quindi la scoperta mi ha fatto ancor più piacere. Il profondo nord-est è una fucina di ottimi musicisti e soprattutto in ambito blues può vantare nomi di tutto rispetto come il power trio dei W.I.N.D., il chitarrista Mike Sponza e i giovanissimi Rusted Pearls.



Il gruppo nasce nel 2009 ed è inizialmente formato da Frank Get al basso e voce, Matteo “Zekka” Zecchini alla chitarra e Sandro Bencich alla batteria. Dopo un anno di attività fa ingresso nella band il pianista Giovanni “Staxx” Vianelli, mentre Dario “Doppio” Vatovac sostituisce Sandro Bencich alla batteria. Un’intensa attività impegna il gruppo in una serie di “live acts” tra Austria, Italia e Slovenia che, oltre alla promozione del disco solista di Frank Get (Hard Blues - 2011), porta alla realizzazione di alcuni dei brani che faranno parte del cd in uscita in questo periodo.
Il repertorio dei Tex Mex, alternato tra standard blues e pezzi firmati in proprio, denota l'attitudine live del gruppo che suona  un potente rock blues dalle profonde radici southern.


The Best has yet to come, questo il titolo del lavoro, è stato registrato nel corso di alcune “live sessions” che hanno avuto luogo presso il “Thunder Studio” e lo “Urban Recording Studio” di Trieste, tra il 2011 e l’inizio del 2012. Ospiti in alcuni brani il noto sassofonista americano James Thompson (Zucchero e Paolo Conte, solo per citare un paio degli artisti con cui ha suonato), Elisa “Selfish Eve” Maiellaro ed Elisa Bombacigno ai cori e Marco ”Skiantini” Beccari all’armonica, che dall’ottobre 2011 è entrato nell’organico del combo. Con la perdita del batterista Dario “Doppio” Vatovac, all’inizio del 2012 è rientrato nella band Sandro Bencich, presente anche lui in un brano del CD. 


In ricordo di Vatovac, le session di registrazione del disco si sono chiuse con la registrazione della cover di No surrender di Bruce Springsteen, da cui è anche stato tratto un ottimo video girato dal regista Francesco Termini.
La formazione attuale del gruppo è ora costituita da Marco “Skiantini” Beccari (armonica), Sandro Bencich (batteria), Frank Get (voce, basso e chitarra acustica), Matteo “Zekka” Zecchini (chitarre e voci).




sabato 19 gennaio 2013

John Hiatt - Mystic Pinball (New West Records - 2012)



We’re alright now
Bite marks
It all comes back someday
Wood Chipper
My business
I just don’t know what to say
I know how to lose you
You’re all the reason I need
One of them damn days
No wicked grin
Give it up
Blues can’t even find me



Con consumato mestiere, negli ultimi tempi addirittura con cadenza annuale, John Hiatt continua a pubblicare album di buon livello, senza particolari cadute di tono e sempre piacevoli all’ascolto. Certamente gli ultimi lavori non aggiungono niente di nuovo a quanto già sappiamo dell’artista, ma che importa? Ciò che conta è constatare che è ancora in gran forma e, soprattutto, che ha ancora voglia di spendere energie con l’entusiasmo della prima volta. Del resto non sarebbe nemmeno lecito aspettarsi di più da un autore di sessant’anni suonati, è proprio il caso di dirlo, sulle scene dai primi anni ’70 con ben ventitrè dischi all’attivo. Lui il capolavoro lo ha già scritto nel 1987, quel Bring the family da ricordare come un momento magico e irripetibile, che nemmeno la reunion dei Little Village ha saputo replicare, una pietra miliare nella sua carriera, cui, volenti o nolenti, si è sempre spinti a paragonare ogni lavoro successivo. Le opere pregevoli non sono mai mancate, si pensi ad esempio a Perfectly good guitar, a Crossing muddy waters e a Master of disaster, inciso insieme a quasi tutti i North Mississippi All Stars di Luther Dickinson. Insomma si è sempre dimostrato all’altezza della propria fama e anche nei momenti minori è sempre stato possibile trovare due o tre pezzi superiori alla media. 






mercoledì 9 gennaio 2013

Intervista a Paolo Saporiti - ELF Teatro, Milano - 19 ottobre 2012


Paolo Saporiti è un cantautore milanese che ha da poco pubblicato il suo quarto disco “L’ultimo ricatto” (leggi la recensione) . Un lavoro impreziosito dalle destrutturazioni di Xabier Iriondo, in un incrocio tra sperimentazione e bozzetti acustici. Io e James Cook lo abbiamo incontrato per Just Kids in occasione della presentazione all’Elf Teatro di Milano e ne abbiamo approfittato per una lunga conversazione che ha abbracciato parecchi temi…





Questa sera presenti il nuovo disco nella “tua” Milano. Come ti senti?

E’ strano, in realtà difficile, perché giochi in casa. C’è tanta gente che ti ha già visto e tanta che non ha assolutamente idea che tu esista. E’ difficile in questo momento della mia vita vedere che tante persone stanno capendo quello che faccio. E’ veramente la prima volta che succede. In questi anni ho visto alcune persone avvicinarsi ed entrare in contatto con me, ma mi sembra che ora ci sia uno scatto un po’ diverso. Sarà che io mi sento un po’ diverso, che il disco suona in un modo nuovo. Milano è il bacino di utenza. Secondo me, solo in un posto così, incontri artisti come Xabier (Iriondo), Cristiano Calcagnile… Alla fine solo Roma riesce ad essere un polo di attrazione alternativo, anche se questo è un po’ paradossale. Diciamo sempre che Milano è morta ed ha dei problemi enormi con la cultura, però alla fine è uno dei pochi luoghi in cui si riescono a fare certe cose. Io ho vissuto alcuni anni a Torino nel periodo dell’università e mi piaciuta tantissimo, probabilmente anche perché in quegli anni sei permeabilissimo, tutto “ti entra”. Torino è molto cosmopolita, così aperta dal punto di vista delle influenze, ricorda un po’ Parigi come città. Li ho creato le basi di come sono adesso, perché prima ero molto più chiuso. Ho vissuto anche ad Arona e penso che il mio disco senza Milano sarebbe un “disco bucolico”, un disco folk in cui esprimere il contatto con la natura. Personalmente faccio fatica a suonare in un posto con un impatto forte da un punto di vista naturale. Mi adeguo molto a quello che mi trasmette, sviluppando solo le note che si rapportano con essa. La “violenza di un disco” così come la intendo io, secondo me, nasce soltanto in un posto come Milano. Lì ti viene in mente di creare un’opposizione a qualche cosa di naturale e spontaneo. Cercavo proprio quello: qualcosa che si opponesse e tagliasse di traverso la mia idea di musica fine a sé stessa. Xabier è stata la persona perfetta per realizzare il mio progetto. Gli ho chiesto di fare molto di più, di devastare molto di più, di creare l’apocalisse. In realtà lui l’ha fatto con molta discrezione, rispettando tantissimo le mie richieste. Ci sono momenti in cui lui lascia molto spazio ed altri in cui va vicino all’invasione, ma senza farlo completamente. Arriva dalla tradizione e coniuga doti di sensibilità, conoscenza ed intelligenza molto elevate: per me, il punto di incontro, è lì.


Tu hai inciso soltanto un brano con testo in italiano nella tua carriera…

Per ora ho inciso e stampato soltanto “gelo”. Ho anche un altro pezzo in italiano, si intitola “Erica”. Lo porto con me da quando avevo 18 anni e prima o poi verrà pubblicato.

Parliamo del disco: il titolo è in italiano e i testi in inglese. Non temi che l’ascoltatore possa perdere il messaggio che vuoi trasmettere?

Si, non per niente ho messo le traduzioni. Però per come io usufruisco della musica il testo arriva dopo. Il mio, con la musica, è un rapporto emotivo sonoro, le parole mi arrivano in un secondo tempo, anche quando ascolto i grandi. In realtà do molta fiducia alla mia pancia. Se ascolto un grande come Jeff Buckley non ho bisogno di capire cosa mi sta dicendo, lo so già, ci “sono dentro”. Lui, palesemente, sta cavalcando un certo tipo di emozione e di sentire. Io credo in questo, nel mio modo di esprimere la musica cerco di rincorrere questo “metodo” e di abitarlo. Non avere il patema di fare arrivare il messaggio esattamente con quello che sto dicendo. In realtà però mi sto muovendo in quella direzione, i titoli in italiano vogliono dire che, pian pianino, mi piacerebbe iniziare a raccontarmi un po’ di più, quindi anche il linguaggio e la lingua diventano una forma espressiva interessante.

Il disco due di irrintzi inizia con la cover di “Reason to believe”, stravolta da Xabier Iriondo e interpretata dalla tua voce. Com’è andata?

Se lo ascolto mi vergogno un pochino perché ho cantato come mi ha chiesto lui, con un arrangiamento alla “suicide”, in modo molto lineare e abbastanza asettico. Risentirmi mi fa abbastanza effetto perché, nelle mie cose, cerco di mettere tanto, mentre qui ci sono pochi personalismi con la voce. Sono stato onoratissimo della proposta, il fatto che la scelta sia ricaduta su “reason to believe” è una cosa che mi tocca, partendo solo dal testo, senza addentrarmi nei risvolti musicali della canzone. Non c’è punto di incontro maggiore per chi, come noi, credendo in quello che fa, sta cercando di combattere una battaglia contro l’omologazione del mondo musicale italiano. Collaborare è il modo migliore di coltivare una “ragione in cui credere”. Il rapporto con Xabier mi emoziona molto, avere avuto l’opportunità di lavorare con lui è stato davvero bello. Come gli Afterhours, che fanno parte di un mondo musicale indipendente che io non conosco bene, che comunque stimo molto, perché in entrambi riconosco la capacità di mettersi “di traverso” rispetto al sentire comune.

In che modo hai conosciuto Xabier Iriondo e com’è nata l’idea della produzione del tuo disco? 

Ci siamo conosciuti al suo negozio (Sound metak) dove ho suonato due volte, da lì, poi, è nata la collaborazione per il mio ep “just let it happen”. Praticamente ci sono due brani dove lui è intervenuto. Questi pezzi mi hanno permesso di capire che lui era veramente la persona giusta, che mi avrebbe permesso di entrare e toccare elementi della sua musica. Per me è stato incredibile sia che lui volesse coinvolgermi in questo progetto, sia la modalità con cui abbiamo registrato il tutto.

Puoi leggere l'intervista completa a pag. 25 di Just Kids #2 (clicca qui per sfogliare la rivista)


martedì 8 gennaio 2013

E' cominciato tutto da Elvis Presley...


8 gennaio 1935 - 16 agosto 1977

"All’inizio, ogni musicista vive il suo momento di genesi. Per voi potrebbero essere stati i Sex Pistols, o Madonna, o i Public Enemy. Qualunque cosa vi abbia fornito la spinta iniziale per l’azione. Per me è stato il 1956, Elvis e l’Ed Sullivan Show. Fu la sera in cui capii che anche un bianco poteva creare qualcosa di magico, che non era inevitabile finire condizionati e limitati dall’ambiente in cui si cresceva, dal proprio aspetto, o da un contesto sociale opprimente. Era possibile evocare il potere della propria immaginazione e trasformare il proprio io. E parlo di un ben preciso tipo di trasformazione, la trasformazione in un nuovo io che in qualunque altro momento della storia americana sarebbe sembrato difficile creare, se non impossibile. Ai miei figli dico sempre che hanno avuto fortuna a nascere nell’era della riproducibilità tecnologica, altrimenti loro vivrebbero nel retro di un furgone e io avrei in testa un cappello da giullare."

Bruce Springsteen SXSW 2012


lunedì 7 gennaio 2013

Paolo Saporiti - L'Ultimo Ricatto (OrangeHomeRecords - 2012)





“It’s running me in time, 
in your sympathy
Burning me in kind, 
sweet liberty
He’s carry me home”
Sweet liberty

                                                                         




L’ultimo ricatto è un’opera non comune, profonda, che scava nei sentimenti fino all’osso, procede per immagini, analogie e istantanee folgoranti. L’atmosfera del tutto particolare del disco è il frutto evidente di una ricerca sonora che sembra cercare il contatto fisico con l’ascoltatore che viene avvolto, ammaliato, perfino stupito dal flusso continuo di parole e musica che si intersecano in un gioco ad effetto originale e coinvolgente. Per avvicinarsi all’arte di Paolo Saporiti è necessaria indubbiamente non solo una certa dose di impegno ed attenzione, ma anche di curiosità e soprattutto di disponibilità a lasciarsi meravigliare. Il gusto forte delle sensazioni trasmesse dalla sua musica, l’intensità emotiva di ogni singolo brano, sapranno ampiamente ricompensare il tempo dedicato alla scoperta del suo mondo.

L’ultimo ricatto è in un certo senso un ritorno a casa, la presa di posizione di chi non vuole scendere a compromessi e non vuole più subire imposizioni di alcun tipo. Dopo due album pubblicati da una piccola etichetta indipendente, The restless fall e Just let it happen, nel 2010 Saporiti corona il sogno di una vita e approda alla Universal con la quale realizza Alone, un bellissimo disco che, grazie anche alla sapiente produzione di Teho Teardo, dimostra tutta la sua abiltà compositiva e il raggiungimento di uno stile decisamente personale. Il rapporto con la major non è però dei migliori, non tutto funziona correttamente, le grandi aspettative riposte nel progetto vengono in parte deluse. Così l’entusiasmo iniziale lascia spazio all’insoddisfazione e spinge Saporiti a compiere una scelta coraggiosa, quella di tornare ad una realtà indipendente, che può meglio garantirgli quella libertà d’espressione e di movimenti di cui ha assolutamente bisogno. 

Puoi leggere l'articolo completo a pag. 32 di Just Kids #3 (clicca qui per sfogliare la rivista)


domenica 6 gennaio 2013

Vincenzo Costantino Cinaski - Smoke - Parole Senza Filtro (Gibilterra - 2012)

Essere un artista significa anche vedere ciò che gli altri non possono vedere, osservare la realtà con occhi diversi, trovare un senso ed un significato anche in quello che ai più passa inosservato. “Niente è grande come le piccole cose” sostiene Vincenzo Costantino, e in questa frase è racchiusa la sua visione del mondo. Un uomo passeggia in maniera distratta e assente, un altro cammina pensoso e viene disturbato dal puzzo di cavolfiore che esce da una finestra al piano terra. Una donna intenta alle faccende domestiche prepara da mangiare “per un uomo che tornerà a casa probabilmente imbestiato dalla birra”. Un terzo uomo, il poeta, “passeggia come se non avesse un cazzo da fare e, incrociando la finestra, si ferma, guarda dentro, spinto dalla curiosità e dalla fame di vita. Tira fuori un taccuino, riprende a passeggiare, come se non avesse un cazzo da fare, e scrive…”. Il poeta è Cinaski, il bardo metropolitano, come lui ama definirsi, e Il terzo uomo è la poesia, anzi il brano che apre Smoke, un libro diventato disco, una raccolta di scritti, alcuni inediti, altri già pubblicati, che qui rinascono e acquistano una nuova dimensione.  Accompagnate e rivestite dalla musica, le parole, non più incasellate l’una dopo l’altra sulla pagina, ora sono recitate sotto forma di canto poetico, in una modalità che richiama la tradizione dei poeti trovatori. La poesia per Cinaski è materia viva, non si esurisce nella scrittura, ma trae forza e sostentamento dalla lettura in pubblico. I suoi reading non sono solo l’occasione per ascoltare dal vivo le poesie lette dall’autore, ma spesso sono veri e propri eventi musicali in cui il nostro ama confrontarsi con i colleghi musicisti. Ricordiamo a tal proposito gli spettacoli Mr. Pall incontra Mr. Mall che lo vedevano salire su un ring ideale insieme al sodale Vinicio Capossela e con lui incrociare i guantoni, pardon le parole, in un botta e risposta davvero singolare tra canzoni e poesie. Per chi quindi lo ha seguito negli anni ed ha ascoltato sul nascere alcuni dei brani ora apparsi su Smoke, il disco è, in un certo senso, il naturale punto d’arrivo della sua evoluzione artistica. L’incursione, per usare le parole dello stesso autore, nel campo altrui, quello cioè della musica, frequentata sempre molto da vicino, si rivela una prova veramente ben riuscita. 

Puoi leggere l'articolo completo a pagina 30 di Just Kids #3 (clicca qui per sfogliare la rivista)