In occasione della rassegna musicale che si svolge al Carroponte di Sesto San Giovanni per tutto il periodo estivo, questa sera suona Roberto Dell’Era accompagnato dai Judas, cioè Rodrigo D’Erasmo (Violino e Chitarre), Milo Scaglioni ( Basso), Alessio Russo (Batteria) e Lino Gitto (Tastiere).
Con molta disponibilità e la
simpatia che da sempre lo contraddistingue, Roberto ci concede una chiacchierata
poco prima di salire sul palco.
Ciao Roberto, vuoi parlarci di “Colonna sonora
originale”, il tuo primo progetto solista, che ancora promuovi a circa un anno
dalla sua uscita?
Si, è un “never ending tour” finché
non uscirà il mio prossimo disco! Intanto stasera abbiamo aggiunto due nuovi
pezzi che non abbiamo mai suonato dal vivo e che presentiamo in questa
occasione.
Sei soddisfatto del riscontro che ha avuto?
Direi di si, tutto sommato al di là
delle aspettative. Ho avuto molti consensi da parte delle radio, è piaciuto
molto, quindi mi ritengo molto soddisfatto. Il fatto di essere un membro degli
Afterhours mi ha permesso di aprire qualche porta. Ciò in certi casi può
essere un’arma a doppio taglio, in quanto potrei essere considerato il
figlioccio di una band che ha una entità molto forte e potrebbe essere scontato
il fatto che sono bravo solo perché faccio parte degli Afterhours, il che non è
assolutamente vero.
Infatti nel tuo progetto non vi è alcun riferimento
musicale che possa ricondurre allo stile degli Afterhours. Ciò significa che è
molto personale, dotato di una sensibilità completamente diversa da ciò che fai
con il gruppo. La decisione di utilizzare uno stile riconducibile ad un sound
sixties è stata una esigenza legata a questo progetto particolare oppure è il
genere musicale che più preferisci e senti tuo?
E’ il tipo di suono che
preferisco, anche se non lo ritengo neo-sessanta o super british. Lo ritengo il
mio suono nuovo e attuale. Nell’immaginario culturale parlare di suono anni
sessanta fa pensare a qualcosa di datato, che appartiene al passato. per me
invece è semplicemente un suono, come lo potrebbe essere l’hip-hop, che, anche
se lo si ascolterà fra vent’anni non è detto che sarà considerato vecchio o
datato. E’ un suono che gode di una sua entità ben specifica.
Vuoi parlarci dei tuoi esordi e del percorso artistico prima di entrare a far parte degli Afterhours? Come e dove
nasce Roberto Dell’Era artisticamente?
Ai tempi feci un corso di chitarra
all’oratorio che frequentavo da piccolo, nel quale c’era un teatro che, come
scoprii più tardi, veniva affittato e utilizzato dalla Ricordi come sala di
registrazione per i propri artisti. Ci lavorò anche Lucio Battisti! Ero
refrattario alla scena musicale milanese, non mi piaceva nessuno e non avevo
molti amici musicisti. Preferivo i negozi di dischi alle band, odiavo le sale
prova, odiavo l’ambiente, insomma, mi stavano un po’ tutti sui coglioni.
Andai all’estero e stetti un anno in Irlanda, poi in Inghilterra. Mi liberò
molto artisticamente e mi sentii perfettamente a mio agio in quella situazione,
trovai intorno a me l’humus adatto a ciò che avevo in mente di fare. Cominciai
a suonare in numerose band, tra le quali alcune importanti con l’aspettativa
di fare il botto. Rimasi circa dieci anni lì e feci la mia gavetta.
Gli Afterhours hanno pubblicato a distanza di 4 anni
dal precedente il loro nuovo lavoro, Padania, avviando di conseguenza un
intenso tour. Come riesci a gestire i tuoi impegni solistici insieme a quelli
con il gruppo?
E’ un vero delirio! Credo che
quest’anno farò il record di concerti della mia vita… Ovviamente gli Afterhours
hanno la precedenza assoluta, però avere un tour in progress ha limitato le mie
possibilità di fare concerti in posti interessanti, come i festival, dove la
gente viene non solo per te ma segue un certo tipo di mondo musicale. Mi sono
adattato ad altre situazioni che comunque mi hanno soddisfatto, e continuo in
tarda età a fare canzoni sui treni (ride).
Questo significa che c’è molta passione in quello
che fai, non è semplicemente un mestiere. Si percepisce chiaramente che non sei
un artista esordiente, alle prime armi, ma che possiedi un bagaglio di
esperienza notevole.
Certo mi piacerebbe avere ancora
vent’anni, nel senso che avrei molto più tempo davanti per portare a compimento
altri progetti. Non credo però che a quell’età avrei potuto realizzare un
lavoro del genere. Infatti la maturità raggiunta nel disco è frutto
dell’esperienza acquisita nel tempo. In Italia è difficile per un artista di
vent’anni possedere già l’esperienza necessaria per mantenere il controllo di
un lavoro così complesso sia dal punto di vista sonoro che da quello tecnico,
in quanto non ci sono le condizioni per acquisire competenze necessarie.
Parlaci del “Cortometraggio” che hai realizzato per
il brano Le parole?
Ho usato il termine “cortometraggio”
in relazione al titolo del disco che è “Colonna sonora originale”. Ovviamente
è un videoclip, ma mi piaceva l’idea di vederlo come un mini film di Roberto
Dell’Era. E’ stata una avventura bellissima lavorare al video, prodotto insieme
a Giorgina Pilozzi, che aveva proposto di fare una sorta di omaggio a “i 400
colpi” di Francois Truffaut senza però creare riferimenti al film. Il piccolo
Ian Sassanelli, il bimbo che ha recitato nel video, ha rappresentato il mio alter
ego ed è stato bellissimo lavorare con lui.
E’ il primo lavoro in ambito
cinematografica che abbiamo realizzato e mi ha soddisfatto molto, così come
aver scelto il bianco e nero. Il corto è piaciuto moltissimo anche a tanta
gente dell’ ambiente.
Suoni in tante situazioni diverse, in duo, con la
band, da solo. Qual’é quella che preferisci?
Dal vivo non ho una preferenza
particolare. Mi trovo bene sia con i Judas, che da solo o in duo con Rodrigo. Anzi,
con Rod si è creata una bellissima intesa e mi piace molto suonare con lui,
perché mi lascia molto spazio, capisce al volo le mie intenzioni e sa supportarmi
adeguatamente.
Progetti Futuri?
Sicuramente realizzerò un nuovo
disco, ma non so ancora quando. Ho in cantiere molte idee, che al momento
opportuno verranno sviluppate e vedranno sicuramente la luce.
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