mercoledì 24 ottobre 2012

Gianluca G-Fast Fasteni - Dancing with the freaks (La Fabbrica – 2011)

Questo articolo è stato pubblicato sulla webzine Just Kids
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Le note scarne di una chitarra acustica che accompagnano la slide segnano il tempo di un ritmo tribale, lo sciamano può compiere così il suo rito ancestrale e un busker solitario suona circondato da architetture futuristiche. Il video girato a Milano dal fotografo Gianni Lo Giudice per The Shaman rende perfettamente l’idea centrale del lavoro di Gianluca Fasteni, in arte G-Fast: unire antico e moderno, tradizione e innovazione, innestare nella matrice del blues loop di percussioni ipnotici e una discreta dose di elettronica. 


Per incidere Dancing with the freaks il chitarrista milanese ha usato mezzi semplicissimi e una tecnica di registrazione altrettanto essenziale. Due strumenti economici, una Eko e una Meazzi, entrambe degli anni 60, sono le uniche due chitarre suonate nel disco, equipaggiate con tre corde, come fossero le cigar-box guitar usate dai primi musicisti neri, che costruivano con mezzi di fortuna i loro strumenti, il cui corpo era spesso costituito da scatole di sigari riadattate per l’occasione. Scardinare uno schema ormai classico come quello del blues non è semplice e trovare una chiave di lettura nuova e personale richiede molta fantasia e creatività e il nostro ci riesce con grande abilità. L’audacia della sperimentazione sonora non manca certamente a G-Fast e a testimoniarlo sono nove tracce che si impongono da subito per il ritmo incalzante e la grande energia trasfusa.
Apre le danze (è proprio il caso di dirlo) Come this way in cui le pulsazioni di basso e batteria (in realtà il basso è una delle due chitarre opportunamente trattata) e il riff poderoso della chitarra fanno da contraltare al gran lavoro alla slide e al vocione graffiante e potente di Fasteni. SeguonoThe DJ is dead, batteria ossessiva e chitarra ritmica tagliente cui si sovrappone la voce corrosiva e distorta, e The Shaman, una danza tribale ipnotica, in cui il suono della slide unito ad un canto indiano crea un effetto davvero particolare dall’atmosfera evocativa. Sulla stessa falsariga Dancing with the freaks e Black rain in cui gli stilemi del blues acustico si fondono con voci distorte e sonorità dissonanti. Si calmano le acque con When I go home, la slide sempre in evidenza in una ballata dall’incedere lento dal sapore desertico e polveroso, mentre The monkey funk, sintomatico il titolo, rimescola un’altra volta le carte in tavola con una ritmica black. La sorpresa arriva con Shout, sì proprio quella dei Tears for Fears, che le sonorità trasversali delle percussioni e l’uso dell’elettronica abbinata alla solita slide trasfigura in una danza primitiva. Il rituale shamanico si chiude con Tomorrow, lenta, evocativa, psichedelica, ipnotica.
Dancing with the freaks è in definitiva un lavoro convincente sia per la sua originalità che per la bravura di G-Fast, un chitarrista molto valido tecnicamente e dotato di un notevole talento compositivo. Nella registrazione del disco fa praticamente tutto da solo, tranne che per l’aiuto di alcuni ospiti. Stefano Tessadri, cantautore milanese con cui Fasteni collabora da anni, è presente all’organo hammond in Tomorrow insieme a Cek Franceschetti, mentre Carmelo Genovese, anche lui chitarrista e bluesman, partecipa a Come this way. Insomma una proposta interessante, un buon biglietto da visita per fare conoscenza con il chitarrista milanese che riassume così il suo curriculum: “Tre corde e molto idee”.

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martedì 23 ottobre 2012

Matt Waldon – Oktober (Arkham Records – 2012)

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Se non sapessimo che il patavino Matteo Baldon, in arte Matt Waldon, è italianissimo, potremmo facilmente pensare che Oktober, la sua prima prova solista, sia opera di un musicista americano, che so, di Austin, TX, e non avremmo sbagliato di molto. Nella città della musica per antonomasia, almeno per quanto riguarda la miscela esplosiva generata dall’incrocio di folk, blues e country, ha ritrovato la sua patria ideale e ha avuto la soddisfazione di suonare al SXWX Festival, un traguardo importante nella sua carriera. Se per qualcuno nascere nella provincia italiana potrebbe essere un limite, non lo è stato certamente per Waldon che da sempre ha coltivato un grande amore per la musica americana, amore ereditato dal padre, la cui precoce scomparsa ha spinto il giovanissimo Matt ad imbracciare la chitarra per sconfiggere il dolore e i suoi fantasmi. The Minigtown, il suo primo gruppo, nasce inizialmente come cover band dei Cardinals di Ryan Adams, ma l’esigenza di comporre in completa autonomia la propria musica porta il nostro a pubblicare due album, cui segue un’intensa attività live, culminata nell’esibizione insieme al Neil Casal, songwriter di chiara fama (Cardinals e Chris Robinson Brotherhood) e chitarrista sopraffino. Nel 2011 il tempo è maturo per fare tutto da solo: a marzo esce Amnesia un EP di cinque brani acustici, proprio quelli che porterà in concerto ad Austin! Con l’uscita di Oktober il cerchio si chiude e viene portata a compimento l’esperienza accumulata negli anni di formazione.



Sono le atmosfere autunnali, come fa presagire il titolo, a pervadere il disco in un continuo susseguirsi di chiaroscuri, di ballate acustiche dalle tinte folk che si alternano tra reminiscenze country dai toni malinconici e introspettivi ed episodi elettrici in cui l’indole rock da libero sfogo a chitarre acide e graffianti che rimandano alla stagione del Paisley Underground di Dream Syndicate e Green on Red. Uscito negli ultimi scampoli d’estate, sarà sicuramente un buon compagno nelle serate invernali riscaldate da un buon bicchiere di whiskey! Una ricetta semplice ma gustosa quella preparata da Matt Waldon, il cui talento di songwriter si sviluppa in dieci brani di pregevole fattura. Le note solitarie di un banjo aprono lo strumentale Like a secret, premessa della scoppiettante Dirty Roads le cui radici country sono contaminate da un’armonica fulminate e dalla chitarra che insegue il piano in una veloce ballata convincente e accattivante. Il piano è invece protagonista in I know, dalla melodia avvolgente, riscaldata dalla voce della francese Paoloma Gil, che duetta con Waldon con molta grazia e rende palpabile l’emozione di ascoltare “the rain on my heart“. Non è l’unica ospite invitata a partecipare alle registrazioni, effettuate all’Arkham Studio di Rovigo; sono presenti nomi importanti della scena Americana, a partire da Caitlin Cary (violinista dei Whiskeytown, altra band di Ryan Adams), al newyorkese Kevin Salem e il nostrano Cesare Carugi (anche lui autore quest’anno di un album scritto con l’America nel cuore). Proprio il brano che da il titolo all’album, con Carugi ai cori, è uno degli episodi più belli, un folk rock intrigante impreziosito dal violino della Cary, un gioiellino nella sua linearità. Il rumore di un temporale fa da sfondo a Sad Song, il pezzo più trascinante del disco, cantata insieme a Salem, che si lancia in un’eccellente prestazione alla chitarra, ritmo energico che non fa rimpiangere i migliori Dream Syndicate. La conclusione è affidata alla splendida ballata I will, deliziosa folk song magica e sognante, abbellita dalle evoluzioni del violino e dalle voce armoniosa della Gil.
La pubblicazione di Oktober, interamente scritto e prodotto da Matt Waldon, curato fin nei minimi particolari, fa entrare di diritto l’autore nel novero di quegli artisti italiani che, senza timori reverenziali, sanno interpretare in maniera personale e con ottimi risultati il rock d’oltreoceano. Anche se probabilmente destinato a rimanere un prodotto di nicchia, il roots-rock  o alt-country che dir si voglia, in Italia è ormai una realtà e opere come questa fanno ben sperare nel futuro. A Waldon va quindi il plauso per aver realizzato un album maturo, omogeneo nelle sonorità, ben suonato e registrato, molto gradevole all’ascolto che di certo soddisferà i palati più esigenti. 


justkids.furlan@gmail.com

lunedì 8 ottobre 2012

Ry Cooder - Election Special (Nonesuch Records - 2012)

Il modo in cui una persona tratta il suo cane può dire molto di lei. Su questa asserzione si basa Mutt Romney Blues, il brano che apre disco, che narra di come quel bastardo (questo il significato della storpiatura del nome) di Mitt Romney, candidato repubblicano alle elezioni presidenziali americane, abbia legato il suo cane al tetto di un’automobile, neanche fosse un sacco di patate, e si sia messo in viaggio. Non è giusto, si lamenta il cane, ma quel mutt non sente ragioni. Non usa mezzi termini, l’attacco è molto esplicito e diretto, ed è solo il primo di una serie di invettive e denunce che Ry Cooder muove all’establishment spinto da una grande passione civile. Election Special, pubblicato in piena campagna elettorale, suona come un campanello d’allarme per richiamare l’attenzione su temi di scottante attualità come lo strapotere della finanza, la vergogna di Guantanamo e una guerra che non sembra avere fine. “They promised war was done but peace didn’t declare” canta in The 90 and the 9, un dialogo serrato tra padre e figlio che si interrogano sulla necessità di fare delle scelte, di intervenire in prima persona per cercare di cambiare lo stato delle cose. I said honey you ain’t read your little history book, better dust it off and take another look, if the Democrats don’t make it then I’ll have myself to blame, if we don’t raise some sand then our votes might sleep away” .

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