Hanno sparato a un angelo
Un paese finto
Cantare e portare la croce
Al capolinea dei sogni
Lacrime parallele
Analogico digitale
A morte i tiranni
Tasse sui sogni
Una canzone che mi spacca il cuore
In alto i cuori
“In alto i cuori quando
il cielo è muto
E anche la pioggia
non ti ascolterà
In alto i cuori se
ti senti smarrito
Perché qualcuno ti
ritroverà”
Tralasciando i tre ottimi brani
recanti la sua firma contenuti nell’epopea tex-mex-western Chupadero! della Barnetti
Bros Band, il super-gruppo cui, sotto mentite spoglie, ha partecipato
insieme ad Andrea Parodi, Massimiliano Larocca e l’americano Jono Manson, sono passati quattro anni
da Ballate di terra & acqua, l’ultimo
lavoro che Massimo Bubola aveva
pubblicato a suo nome. Tanto abbiamo dovuto aspettare, ma la lunga attesa è stata
finalmente premiata dall’arrivo di In
alto i cuori, una raccolta di undici, nuove, intense, instantsongs con le quali si fa interprete dell’Italia di oggi, e
ne dipinge un quadro allo stesso tempo affascinante per le intrinseche qualità
musicali e spietato nell’indicarne i difetti. Come altre volte in passato, basti
solo ricordare Don Raffae’ scritta a
quattro mani con Fabrizio De Andrè,
lo sguardo lucido dell’autore veronese si posa su temi sociali di scottante
attualità.
Un episodio di cronaca, avvenuto
lo scorso anno a Roma, è lo spunto per Hanno
sparato a un angelo, l’emozionante brano d’apertura del disco. Durante una
rapina viene uccisa, insieme al papà che la teneva in braccio, una bambina di
soli nove mesi, “un angelo che ancora non
sapeva gli abissi del mondo, la bestia che si cela”. Non c’è più limite alla
barbarie dilagante, “non possiamo credere
che morta sia Pietà”, canta la voce accorata dell’autore, anche lui padre
di un bambino piccolo,“cosa possiamo dire
se non abbiamo voce, noi che non sappiamo stare ai piedi della croce”. L’assoluta
banalità del male impressiona per la mediocrità insensata di chi lo commette, diceva
con acume la filosofa tedesca Hannah
Arendt. Si resta esterefatti e ammutoliti, aggiunge Bubola, soli nell’affrontare il dolore, senza più l’aiuto
consolatorio di una comunità con cui condividerlo. “Cosa possiamo scrivere, se non abbiamo più pagine”, continua, come
se non ci fossero più parole disponibili. Naturalmente sono molte le cose da
dire e lui riesce a trovare le parole più adatte per farlo con levità, mediante
liriche che, nonostante il tema sia tragico, comunicano con commossa semplicità
l’indignazione suscitata da una giovane vita spenta sul nascere. “Con i suoi piedi piccoli ancora non volava,
con le sue ali tenere ancora non camminava”, quanta grazia e tenerezza in
questi versi usati per raccontare “un
bocciolo di sposa” !
Questo primo brano fotografa con
precisione la realtà e determina lo stato delle cose, il punto di partenza per
analizzare i nostri tempi. Perché siamo arrivati a tanto, quali sono le cause
del degrado morale che stiamo vivendo? Le risposte non tardano ad arrivare e Un paese finto punta il dito contro la
finzione che si è ormai impossessata delle nostre vite, complice prima di tutto
la televisione, palcoscenico di troppi “finti
profeti profondi”. Anche il cuore non sa più distinguere i sentimenti, solo
il male, purtroppo, è vero. Bisogna
cantare e portare la croce non fa che rincarare la dose “questo al pubblico piace, le sconfitte, le
lacrime, la pietà, la finzione son più vere in televisione”. Per combattere
l’appiattimento culturale “bisogna avere
buoni ricordi e un po’ d’infinito negli occhi”. Arriviamo al punto cruciale
del disco, Analogico-Digitale, il
blues lento e ipnotico nel cui testo, scritto insieme a Beppe Grillo, si fa netta la distinzione fra due mondi, quello
contadino, ormai perduto, e quello attuale, virtuale e spettrale. La voce e i
suoni si fanno duri, la chitarra incalza, il ritmo cresce e strofa dopo strofa
sale la tensione. Cosa resta da fare? A
morte i tiranni indica la strada,“c’è
sempre una speranza per il popolo sconfitto che la giustizia un giorno vincerà”
, anche se siamo ancora qui, dopo diecimila anni, “a combattere col regno dei grandi disinganni” ! Un altro brano di
stringente attualità è Tasse sui sogni
in cui, sulle note di uno spoglio rock’n’roll, si srotola un copioso elenco di
tasse, alcune reali altre fittizzie, sarcasticamente descritte in tutta la loro
assurdità. Viene lasciato per ultima In
alto i cuori, la canzone che da il titolo all’album, il vademecum di resistenza
civile, l’appello di Massimo Bubola
agli uomini di buona volontà perché trovino uno scatto d’orgoglio e superino
l’impasse di questi tempi difficili.
Del cantautore veronese, da
quarant’anni sulla scena italiana e certamente una delle nostre firme migliori, conosciamo già il suo notevole
talento di compositore. Anche In alto i
cuori non sfugge quindi alla regola di brani dai testi di grande dignità
letteraria abbinati ad uno stile musicale unico nel suo genere. Il tratto
distintivo del disco è come sempre il folk-rock
elettroacustico delle ballate di evidente derivazione americana, che però Bubola interpreta con una sensibilità e
un gusto per la melodia tutto italiano. Se le ballate sono l’espressione prediletta
dall’autore, l’accompagnamento ideale dei suoi racconti, quando questi si fanno
più arrabbiati, sono le chitarre a
diventare più incisive ed è l’attitudine rock del Cavaliere Elettrico a prendere il sopravvento e a condurre le
danze. Ad affiancare il musicista veronese è sempre la Eccher Band, composta da bravi e fidati musicisti quali Simone Chivilò e Enrico Mantovani alle chitarre, Piero Trevisan al basso, Virginio
Bellingardo alla batteria e Lucia
Miller alla voce. Lo stesso Chivilò
è anche il produttore, insieme al titolare, di tutto il lavoro. Gli undici
brani di In alto i cuori, passano
agilmente, come abbiamo visto, dal folk, al blues e al rock’n’roll e compongono
un intenso mosaico all’interno del quale spiccano alcune gemme come l’emozionante
ritratto di una generazione di Al capolinea
dei sogni, la corsa nella notte di Una
canzone che mi spacca il cuore resa avvincente da una stupenda linea di
chitarra e la conclusiva In alto i cuori,
una preghiera che ci incita a non perdere le speranze.
L’autore di Marabel, Il cielo d’Irlanda
e Niente passa invano continua così
il suo viaggio nella musica e nella cultura italiana con grande intelligenza e
autorevolezza. In alto i cuori è
perciò un’altra grande prova d’autore di Massimo
Bubola e la possiamo tranquillamente annoverare tra le sue opere più
importanti. Spegnete quindi la televisione e seguite il suo invito, queste
canzoni vi accompagneranno per molto tempo!